Da cosa nascono i conflitti sul lavoro?
Come puoi evitarli e risolverli?
Come puoi trasformarli in una potenziale occasione di crescita evolutiva per te?
Le incomprensioni, i fraintendimenti, nascono spesso da una comunicazione poco efficace, banalmente non ci si capisce, è come parlare lingue diverse.
Queste sono forse le situazioni più semplici, quando i contrasti possono essere risolti chiarendosi.
Ma quando parliamo di veri e propri conflitti, solitamente consideriamo situazioni in cui le difficoltà di interazione affondano le radici su diverse visioni del mondo, su sistemi di valori personali complementari, che determinano di conseguenza una diversa attribuzione di importanza e priorità alle cose ed alle situazioni, aprendo tra le Persone un fossato che diventa difficile colmare.
Premesso che la migliore strategia per risolvere i conflitti è prevenirli, una volta che sei dentro ad una relazione conflittuale la maggiore difficoltà nasce dal fatto che entrambe le parti sono convinte di avere ragione.
E solitamente è così: hanno entrambe ragione… ma ognuna dal proprio punto di vista!
Le Neuroscienze ed in particolare le mappe del Neuromanagement ci aiutano a trovare la via di uscita da queste situazioni, permettendo di comprendere il punto di vista altrui, e fornendo gli strumenti per sintonizzarci con l’altro in funzione del suo diverso modo di funzionare, del suo sistema di Valori.
Per comprendere come questo sia concretamente possibile esaminiamo il caso reale di una situazione conflittuale tra un giovane Project Manager e la sua Responsabile.
Il caso di un conflitto capo – collaboratore
La Responsabile di un Ufficio Tecnico è alla guida un team di 5 persone, tra cui un giovane Project Manager inserito in Azienda da poco più di un anno; lei si trova spesso fuori sede per missioni anche all’estero, ed anche per questa ragione è abituata a lasciare ampie deleghe ai suoi collaboratori.
La sua aspettativa è che il giovane PM sia molto più autonomo, si prenda più responsabilità; la criticità dal suo punto di vista è che lui invece si dimostra insicuro, attende il suo rientro in ufficio per portarle lunghe liste di problemi, quando invece lei si aspetta avanzamenti più veloci nei progetti assegnati. La Responsabile teme di avere sbagliato a riporre la sua fiducia nel giovane PM ma vuole dargli una possibilità di crescita e per questo gli propone un percorso di coaching che lo aiuti a maturare professionalmente.
Il Project Manager, dal canto suo, lamenta invece una scarsa chiarezza nelle indicazioni che riceve dalla sua Responsabile; le sue frequenti assenze gli creano problemi perché sente il bisogno di confrontarsi, anche per capire meglio cosa lei si aspetti da lui; per questo ad ogni problema vorrebbe il suo riscontro nel timore di sbagliare. Il PM si sente abbandonato, in balia di situazioni dove gli mancano indicazioni chiare su cosa e come fare. E’ piuttosto scettico riguardo il percorso di coaching che la sua Responsabile gli ha proposto perchè non ne sente il bisogno (il problema non è lui…).
Come in ogni situazione conflittuale, entrambe le parti hanno la convinzione di avere ragione.
Responsabile e PM tendono a vedere solo una parte della realtà, a riconoscere solo ciò che l’altro fa o non fa, e che conferma l’idea che ciascuno si è già fatto (bias confermativo):
- la Responsabile vuole stimolare la maggiore assunzione di ruolo da parte del Project Manager, perciò tende a lasciargli grandi spazi di autonomia, con deleghe ampie ed indicazioni di massima
- il PM vuole invece indicazioni più precise per fare un buon lavoro, legge questo comportamento come un segnale di uno scarso interesse ed attenzione nei suoi riguardi, e quando si rivolge alla sua Responsabile per chiedere chiarimenti, implicitamente le conferma di non essere ancora all’altezza delle sue aspettative.
Le ottime intenzioni della Responsabile vengono quindi fraintese dal Project Manager, ed allo stesso modo i bisogni del manager sono visti come mancanza di sicurezza da parte della Responsabile, generando così un circolo vizioso che alimenta la situazione conflittuale.
Le differenze di funzionamento tra i due sono alla base dei loro diversi stili manageriali e possono essere ben comprese utilizzando le mappe del Neuromanagement.
Le mappe del Neuromanagement
Consideriamo i comportamenti della Responsabile e del PM dalla prospettiva delle loro preferenze cognitive (vedi l’articolo).
I due funzionano sicuramente in modo non solo diverso, ma addirittura complementare:
Il Project Manager mostra uno stile di management PRATICO: questa prevalenza cognitiva lo porta ad avere come leva motivazionale il fare un ottimo lavoro, curato nei dettagli; ciò si accompagna con il bisogno di avere tutte le informazioni necessarie, di sentirsi preparato – pronto per il compito assegnato, e può bloccarsi quando non si sente pronto, o non è del tutto chiaro chi deve fare che cosa, o le scadenze entro cui l’attività deve essere svolta.
Chi funziona in questo modo ha bisogno di feedback puntuali, di avere riscontri sul lavoro fatto e se non li riceve può vivere la delega ricevuta come uno “sbolognamento”.
La Responsabile invece ha uno stile di management INNOVATORE: questa modalità la porta naturalmente a lasciare molta autonomia, e ad una comunicazione prevalentemente sintetica, di poche parole. Quando prevale questo stile il manager tende a lavorare in modo veloce, e focalizzarsi sulle cose ritenute essenziali, senza perdere tempo nei dettagli.
Il feedback a volte rischia di essere considerato un dettaglio, e non ricevere quindi la giusta attenzione da chi funziona prevalentemente in modalità da Innovatore.
Come funziona l’interazione tra capo e collaboratore quando hanno due modalità prevalenti di funzionamento così diverse tra di loro, anzi possiamo dire tra loro complementari?
I bisogni di uno non coincidono con quelli dell’altro, così come le loro reciproche aspettative:
- la Responsabile, per suo stile tende a dare poche indicazioni / il PM per il suo modo di funzionare ha bisogno di sapere le cose in dettaglio
- la Responsabile si aspetta una gestione autonoma dei progetti basata su linee guida condivise / il PM tende a chiedere riscontro passo – passo e si aspetta feedback puntuali
Quando si hanno modalità di funzionamento così diverse il rischio di fraintendimenti ed incomprensioni è veramente altissimo, soprattutto se (a causa anche della fretta) si tende a dare molte cose per scontate.
L’essere umano è prevalentemente reattivo, tende facilmente al pensiero veloce, e quando entra in gioco il pilota automatico della Responsabile e quello del PM, ovvero il loro modo di pensare ed agire veloce, alimentano la situazione conflittuale come un circolo vizioso, mostrando loro solo quanto è di responsabilità dell’altro e non il proprio contributo individuale alla situazione difficile.
Come si può uscire dal circolo vizioso del conflitto?
Interrompi il circolo vizioso
Per interrompere il circolo vizioso del conflitto occorre smettere di alimentarlo. Non è facile, occorre infatti andare oltre il proprio automatismo.
Fermarsi e riflettere; richiede impegno, è un atto di Volontà, nel senso che occorre volerlo, e non accade per caso.
La bella notizia è che per spezzare questo ingranaggio che tritura persone e relazioni è sufficiente che sia anche una sola delle due parti a volerlo.
La brutta notizia è che entrambe solitamente pensano che spetti all’altra parte fare il primo passo.
Nel caso del Project Manager e della sua Responsabile, ad un certo punto del suo percorso di coaching individuale, grazie alle mappe del Neuromanagement il PM ha potuto comprendere che i suoi comportamenti erano il frutto dei suoi bisogni e questi del suo modo di funzionare.
Allo stesso modo ha anche compreso che i comportamenti della sua Responsabile erano il risultato di un diverso modo di funzionare e non di una particolare intenzione nei suoi riguardi.
Capire le differenze di funzionamento tra manager che hanno una diversa Porta di Entrata è però solo il primo passo.
Se vuoi produrre dei cambiamenti concreti occorre anche agire in modo diverso. Altrimenti sarebbe come voler uscire da un vicolo cieco senza dover cambiare strada.
Una volta comprese le motivazioni ed i bisogni della sua Responsabile, il PM ha iniziato ad agire in modo un po’ diverso da quello che avrebbe fatto di solito, smettendo così di alimentare il conflitto, interrompendo il circolo vizioso:
- per rispettare le proprie necessità di una maggiore completezza delle informazioni, e chiarezza nella delega, ha iniziato a chiedere più precisamente gli output attesi per ogni nuovo progetto
- per dimostrare alla sua Responsabile la sua crescente autonomia e soddisfare al contempo il suo bisogno di feedback ha concordato con lei che al rientro dalle sue trasferte avrebbero sempre fatto un briefing di aggiornamento
- hanno anche concordato che, in caso di problematiche incontrate in itinere nei progetti, invece di attendere il suo rientro, il PM avrebbe inviato un messaggio alla Responsabile per risolvere velocemente e sbloccare la situazione.
Questi primi passi hanno progressivamente portato la Responsabile a vedere il PM in una luce diversa e permesso ai due di stabilire un accordo esplicito su come sviluppare progressivamente l’autonomia senza correre il rischio di bloccarsi nelle difficoltà.
Quando uno delle due parti confliggenti modifica i propri comportamenti, tutta la situazione conflittuale ne risente e si modifica, e se questi nuovi comportamenti vanno nella direzione dei bisogni dell’altro il conflitto tende a risolversi.
Ma l’atteggiamento ed il vissuto individuale verso i conflitti è molto diverso in base alle modalità di funzionamento preferenziali del singolo, per questo è importante considerare come le Porte di Entrata si pongo rispetto al conflitto.
Conflitto e Porte di Entrata
Il Neuromangement individua 4 paradigmi, ovvero quattro modalità di fondo di funzionare (leggi l’articolo), corrispondenti agli stili cognitivi prevalenti, da cui discendono altrettanti stili di management: SPECIALISTA, INNOVATORE, RELAZIONALE, PRATICO.
I 4 diversi stili di management vivono i conflitti in altrettante e distinte modalità peculiari:
SPECIALISTA = il suo focus è sul risultato; questa Porta di Entrata è motivata dall’essere efficace ed efficiente; è lo stile che identifica in modo preciso cosa vuole, considera gli aspetti quantitativi ed oggettivi; la sua comunicazione è diretta; sostiene il suo punto di vista con dati; ragiona con la logica; affronta le situazioni razionalmente; non teme il contrasto ed il conflitto.
Se è convinta di avere ragione può procedere a testa bassa, dritto per la sua strada ignorando chi trova sul suo cammino, specie se ha idee o convinzioni diverse dalle sue.
INNOVATORE = il suo focus sulle novità, questa Porta di Entrata è motivata dal cambiamento e dall’autonomia, vuole portare il suo contributo originale; guarda avanti cerca nuove prospettive; è lo stile che cerca soluzioni, trova vie alternative; può essere indifferente ai contrasti che può considerare come semplice divergenza di opinioni.
Se trascura i segnali deboli delle situazioni conflittuali può trovarsi poi a dover gestire crisi più importanti.
RELAZIONALE = il suo focus è sulle Persone, questa Porta di Entrata è motivata dal sentirsi utile, vuole mediare, si mette a disposizione dei singoli e dei team; il suo sguardo è rivolto prioritariamente alla relazione; tende naturalmente all’ascolto ed alla comunicazione; non ama il contrasto ed evita i conflitti, perché li vive come qualcosa di personale che fa male alle relazioni.
Per evitare i contrasti può trovarsi ad aggirare il confronto, a favore del quieto vivere.
PRATICO = il suo focus è sul Fare in prima persona, questa Porta di Entrata è motivata dal fare le cose bene, curandone i dettagli; pianificando ed organizzandosi; si muove in modo prudente, procede per piccoli passi, con metodo e precisione, eliminando l’incertezza e gli errori; cerca rassicurazioni, vuole accordi scritti; può andare in contrasto se gli accordi non vengono rispettati e le cose non vanno esattamente come stabilito.
Deve fare attenzione al fare questioni di principio che possono portare al blocco.
E tu come funzioni?
Il tuo stile personale di management è la risultate delle diverse Porte di Entrata che caratterizzano il tuo profilo personale, ovvero delle tue principali attitudini, che determinano il tuo vissuto rispetto le situazioni conflittuali.
Riconoscere come funzioni ti aiuta ad essere consapevole di come vivi ed affronti i conflitti, ed al contempo può mostrarti la via per la tua evoluzione personale.
L’opportunità evolutiva
Modificare un comportamento richiede molta motivazione perché ha un costo energetico elevato, soprattutto quando è diventata una abitudine.
Quando agiamo in modo automatico in base ai nostri schemi ruotinari infatti risparmiamo energia, e rimaniamo in area di comfort: agiamo come sempre abbiamo fatto.
E così era per il PM: in una sessione del suo percorso di coaching mi ha raccontato di avere lasciato il suo precedente lavoro per una situazione del tutto analoga a quella in cui si trovava ora, ovvero il suo responsabile non lo considerava e lo costringeva ad arrangiarsi.
La sua grande frustrazione era quella di essersi venuto a trovare di nuovo nella stessa situazione.
Questa volta la differenza era di non essere solo, ma in un percorso di coaching con la possibilità di osservarsi in azione e decidere di fare qualcosa di diverso.
Questo atto di Volontà non è poca cosa: la reazione umana più frequente è quella che sposta la responsabilità fuori di sé, e la proietta sull’altro.
“E’ il mio capo che non mi considera”
“E’ il mio capo che non mi da riscontri chiari”
Sono le frasi che danno l’idea di uno spostamento fuori da sé stessi di ogni responsabilità rispetto la situazione conflittuale.
L’occasione per il PM è stata invece quella di mettersi in gioco e cogliere che forse in questo ripetersi di una situazione del tutto analoga al passato, potesse esserci per lui l’occasione di un apprendimento importante per la sua crescita personale, l’occasione di fare qualcosa di diverso dall’iterare gli stessi comportamenti del passato.
L’opportunità di fare qualcosa di più libero della sua reazione abituale davanti a situazioni di questo tipo, invece di lamentarsi e tirare i remi in barca, aspettando che sia l’altro a cambiare, per poi alla lunga andarsene deluso.
Quando ha iniziato ad agire un po’ diversamente dal solito, con sua grande sorpresa, ha scoperto che la sua Responsabile reagiva rispondendo positivamente a questi suoi cambiamenti producendo a sua volta modalità diverse che andavano magicamente nella direzione da lui desiderata.
In realtà non accadeva nulla di magico: la Responsabile semplicemente reagiva ai nuovi comportamenti del PM, che dal suo punto di vista denotavano una maggiore presa di responsabilità, e quindi erano più in linea con le sue attese, ed ha perciò iniziato a sua volta dare segnali più positivi di apprezzamento al PM, innescando così un circolo virtuoso tra i due.
Quello che il PM ha scoperto è che in qualche modo tutti noi contribuiamo a creare l’ambiente in cui gli altri intorno a noi si manifestano: in questo sta la nostra responsabilità sociale.
Le nostre azioni si ripercuotono intorno a noi, anche nelle situazioni conflittuali.
Per cui in un conflitto noi deteniamo il 50% del capitale azionario, e decidere come vogliamo gestirlo può determinare in gran parte le sorti del conflitto stesso.
Quando il PM ha compreso le necessità del suo capo, ha avuto l’occasione per agire non solo per uscire dai suoi automatismi, ma al contempo per evitare di scatenare le altrui reazioni automatiche, rendendo quindi anche la sua Responsabile un po’ più libera dai suoi automatismi.
Diventare più liberi dal pilota automatico non solo ci rende più efficaci perché più situazionali, ma ci consente di allenare muscoli mentali latenti, di sviluppare nuove abilità e facoltà che altrimenti rimarrebbero inespresse.
Per questo possiamo guardare al conflitto come una occasione, l’opportunità di diventare esseri umani più completi, grazie proprio alla frizione con altri esseri umani magari diversi da noi.
Quando scopriamo i nostri “talenti” ed impariamo ad usarli meglio possiamo dire che cresciamo nelle nostre abilità.
Quando invece andiamo oltre i nostri limiti e superiamo le abitudini dettate dalla nostra area di comfort, stiamo allenando nuovi muscoli, allora possiamo dire che siamo in un percorso evolutivo , ci stiamo cioè completando.
Le Neuroscienze possono essere di aiuto, ed in particolare le mappe del NeuroManagement, per conoscere meglio sé stessi e valorizzare maggiormente il proprio stile di management ed allenare nuove abilità.
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Riferimenti bibliografici:
Neurofitness, Katherine Benzinger, ed. Le Lettere